COVID-19: riconoscere gli errori per porvi rimedio
La pandemia di COVID-19 ha provocato in Italia ufficialmente oltre 132.000 morti. Questo numero tuttavia è largamente sottostimato e, in particolare, non tiene conto di tutta la restante patologia che non è stata adeguatamente trattata, in quanto tutte le strutture e il personale sanitario sono stati assorbiti dal COVID-19.
Proprio su questo dato penso si debba aprire una riflessione e dar vita ad un Piano di Azione immediato e molto concreto che tenga conto che due sono le principali cause del grave danno generato dal COVID-19 in Italia:
1. la mancanza di un Piano Pandemico
2. la mancanza di un sistema di sorveglianza continuo, cosiddetto CDC italiano (Center for Disease Control) o CCM (Centro per il Controllo delle Malattie).
Entrambe queste mancanze sono derivate dal fatto che gli organismi preposti in Italia non hanno considerato come prioritaria la preparazione alle epidemie e che la sanità è stata oggetto di continui sottofinanziamenti generati da 10 anni di austerity.
I governi che si sono succeduti tra il 2011 e il 2020 hanno sottofinanziato la sanità per un valore stimato di circa 37 miliardi globali, che ha colpito tutte le strutture sanitarie a cominciare dal Ministero della Salute, fino alle strutture regionali con tagli lineari, senza distinguere tra le voci di spesa più o meno importanti.
La prima grande responsabilità ricade quindi su questa politica di austerity generata in Europa e largamente applicata anche in Italia. A livello del Ministero della Salute questa ha portato a cancellare il Centro di Controllo delle Malattie che era stato istituito fin dal 2003 con un proprio finanziamento ed esperti di nomina sia centrale che regionale, in servizio permanente per partecipare ad un sistema di sorveglianza internazionale e definire per l’Italia i relativi rischi delle epidemie che continuano a generarsi nel mondo.
Si sono quindi annullati i passaggi di Risk Assessment, Risk Management e Risk Communication, fondamentali per contrastare al meglio una pandemia. L’Italia si è trovata improvvisamente nella necessità di offrire una tutela sanitaria ai malati di COVID-19 senza mezzi e strutture espandibili, senza presidi di protezione individuale e con un personale sanitario largamente ridotto a causa del blocco dei turnover e, più in generale, di una politica di risparmio che non ha nemmeno tenuto conto del fatto che molti medici ed infermieri andavano in pensione e che il numero di posti che l’Università poteva mettere a disposizione per la formazione del personale e la specializzazione erano insufficienti.
Nel contesto di questa morsa letale anche la comunicazione del rischio sia al personale sanitario che al pubblico è stata disastrosa, senza un’autorevole voce istituzionale che intervenisse quotidianamente ad informare la popolazione. Le televisioni hanno quotidianamente attivato spettacoli estremamente nocivi di esperti che assumevano posizioni contrastanti tra loro. Ciò ha contribuito largamente a generare sfiducia, incertezze e addirittura ostilità nei confronti di alcune pratiche sanitarie come la vaccinazione e la quarantena che sono fondamentali per il controllo delle epidemie.
Fortunatamente nel 2020 il Piano di Vaccinazione è stato affidato alle forze armate che hanno la possibilità di meglio gestire queste grandi calamità. Oggi peraltro ci troviamo in una situazione in cui ancora non si è provveduto a redigere e finanziare un Piano Pandemico, cioè una concatenata serie di azioni che servono ad evitare che la prossima pandemia generi altrettanti guasti del COVID.
Un Piano di Azione di questo genere comporta un grande investimento di risorse, ma anche idee molto precise su come queste debbano essere utilizzate; ad esempio è fondamentale distinguere le strutture di diagnosi e cura per la pandemia senza intaccare quelle adibite al trattamento della patologia ordinaria che non può aspettare. Si tratta quindi di predisporre strutture mobili ed espandibili sul modelle delle temporary clinics, utilizzate in altri Paesi e gestite preferibilmente dalle forze armate in quanto queste, meglio di altri attori, sono preparate ad affrontare calamità di massa con uomini e mezzi. Anche il personale sanitario deve essere potenziato a costituire una massa di persone che può essere rapidamente mobilitata in queste strutture temporanee. Si tratta di avere quindi in servizio un numero eccedente di personale e di poter richiamare riservisti (personale pensionato o altro) a corredo di questo personale. Infine, non sarà mai abbastanza sottolineata l’importanza di una comunicazione dei rischi e di una formazione del personale sul campo, capaci di generare sicurezza nella popolazione, impedendo lo sciacallaggio che abbiamo osservato da parte di persone che approfittano di un dramma nazionale per proprio vantaggio.
Il Piano Pandemico non è un atto burocratico che si pone nel cassetto, ma è un’azione continua da parte dei CDC che dovremmo ricostituire immediatamente per adeguare continuamente uomini, materiali e mezzi, così che siano sempre pronti e abili negli interventi.
In conclusione, non credo che abbiamo imparato bene dalla dura lezione che il COVID-19 ci ha imposto. L’auspicio è che gli enti preposti e, in particolare, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, possano farsi avanti con richiami insistenti e documentati per spingere il Governo a riconoscere gli errori fatti ed evitare che questi si ripetano nel prossimo futuro.