Il Coronavirus passa, il bene resta

Fra qualche anno i libri di scuola forse racconteranno di un Paese, messo in ginocchio dal Coronavirus, che non si è preparato in tempo nonostante le notizie del focolaio cinese di Wuhan avessero fatto il giro del mondo. O forse di un Paese che nel momento del bisogno è stato lasciato solo da un’Europa divisa, preda di nazionalismi assurdi. O ancora un Paese incosciente e immaturo che, nonostante i primi divieti, continuava con i riti della movida o dell'ape con gli amici. Qualunque cosa venga scritta io so bene cosa ricorderò. 

Ricorderò infermieri, tecnici e medici al lavoro, in apprensione ma al lavoro, anche quando la mascherina non era disponibile per tutti. Medici che hanno saltato riposi e recuperi per non abbandonare i loro pazienti anche quando le possibilità di uscire indenni dalla terapia intensiva erano nulle. 

Ricorderò i volontari di tante organizzazioni pronti a spostarsi nelle zone più bisognose.

Ricorderò i donatori in lunga fila, dal primo mattino, nel cortile del Marangoni per donare il loro sangue e poi in attesa per ore, in silenzio, rispettosi delle disposizioni di legge, sotto una mascherina che tanto confortevole non è.

Ricorderò molti donatori rispondere solleciti a telefono per fissare un appuntamento secondo le richieste dell’Associazione ‘Amici’ dettate dalle necessità trasfusionali dei pazienti ricoverati. Altri pronti a fissare la loro donazione in base all’agenda proposta dall’applicazione.

E poi tanti messaggi, mail, post sulla pagina FB per dare la propria disponibilità a tornare a donare anche prima della scadenza di legge. E alla risposta che ‘No, non è possibile’, affrettarsi a prenotare la donazione allo scadere dei tre mesi.

Ricorderò tutto questo, ricorderò tanta gente buona e generosa grazie alla quale questo nostro sfortunato Paese potrà ancora una volta sperare di risollevarsi.

Anna Parravicini

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