Quando ricerca e attività chirurgica si incontrano

Intervista a Giovanni Marfia MD, PhD, del Laboratorio di Neurochirurgia Sperimentale e Terapia Cellulare dell’Unità di Neurochirurgia e Capitano del Corpo Sanitario Aeronautica Militare

L’Ospedale Policlinico, ora Fondazione, è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) fra i più importanti istituti di ricerca italiani ed europei che si avvale dell’opera di molti e capaci individui dediti all’attività di ricerca, tipica degli IRCCS. Incontriamo uno di loro, il dottor Giovanni Marfia, che all’attività di ricercatore affianca quella di neurochirurgo. Un suo progetto di ricerca ha ricevuto di recente un importante finanziamento della Fondazione Cariplo a riprova della qualità e dell’importanza degli studi finora eseguiti dal suo gruppo.

Come ricercatore e come chirurgo lei è oggi nella particolare e fortunata posizione di impostare e portare avanti progetti di ricerca che diano risposte concrete ai bisogni dei pazienti. Ci parli di lei, della lunga strada fatta nel campo della ricerca e della clinica.
Il mio percorso nel mondo della ricerca scientifica ha avuto inizio nel campo delle Biotecnologie Mediche ed è proseguito attraverso il corso di studi in Medicina e Chirurgia, la specializzazione in Neurochirurgia e il dottorato di Ricerca in Farmacologia, Clinica e Terapia delle Malattie Metaboliche. È stato un percorso molto stimolante, che mi ha permesso di crescere come biologo, come medico neurochirurgo e soprattutto come ricercatore, dalla ricerca di base sino alla medicina traslazionale, ossia quella medicina tesa a trasferire tempestivamente nella cura dei pazienti le nuove conoscenze acquisite nel campo della ricerca.
Ho creduto fortemente in questo percorso proprio perché la medicina e la ricerca se non si integrano rischiano di rimanere percorsi paralleli, con scarsa interazione e, mentre la ricerca fa passi da gigante, la terapia rimane ancorata a vecchi schemi e fa fatica a cambiare. Sono convinto che la competenza in campo clinico e la relazione con i pazienti possano offrire sempre nuovi spunti da tradurre in ricerca traslazionale sul bancone di laboratorio. Credo che proprio la sofferenza incontrata durante la pratica clinica e l’ascolto dei malati, e delle loro fragilità, mi hanno dato sempre molta energia per intraprendere nuove ambiziose sfide per la ricerca.

Un suo progetto di ricerca sul glioblastoma ha ottenuto di recente un importante finanziamento da Fondazione Cariplo. Può dirci di che si tratta?
Premetto che il glioblastoma è il più aggressivo dei tumori cerebrali e la prognosi dei pazienti è altamente sfavorevole. La resistenza del tumore alle terapie è dovuta a complessi meccanismi cellulari e molecolari che promuovono la crescita e la sopravvivenza delle cellule tumorali, nonché la formazione di nuovi vasi sanguigni, nonostante le terapie attualmente disponibili. Immaginiamo il tumore come un bersaglio mobile che, quando messo ‘sotto scacco’ dalle terapie, si adatta. Le cellule tumorali non sono tutte uguali, ma esiste una gerarchia, che stiamo pian piano identificando. All’interno del tumore esistono cellule ‘leader’, ovvero le cellule staminali tumorali, che sono scarsamente responsive alle terapie e che inviano a tutte le cellule che costituiscono la massa tumorale degli input di resistenza e sopravvivenza agli attacchi esterni, proprio come se fossero il braccio e la mente. In questa battaglia, abbiamo immaginato il tumore cerebrale come una malattia dell’intero organismo, piuttosto che come un fenomeno locale. Abbiamo compreso che le cellule staminali del tumore sono in grado di comunicare con l’intero organismo sovvertendo la fisiologia per attrarre sempre risorse nuove a sostegno del tumore. I nostri studi più recenti ci suggeriscono che esista una delicata comunicazione tra cellule staminali tumorali, endotelio e piastrine, orchestrata da un potente lipide oncopromotore, (la sfingosina-1-fosfato - S1P), in grado di dirigere e sostenere lo sviluppo della massa tumorale, in un circolo vizioso auto-alimentante. Questa sostanza per esempio è in grado di raggiungere il midollo osseo attraverso il circolo ematico e favorire la produzione di piastrine circolanti cariche di fattori di crescita pro tumorali che, passate dai vasi sani ai vasi tumorali, forniscono nuova linfa al tumore stesso. Lo scopo del nostro studio è quello di comprendere i meccanismi di azione della S1P nel glioblastoma, affrontando il problema secondo un approccio ‘olistico’ così da individuare le alterazioni molecolari specifiche contro cui dirigere nuovi trattamenti nell’ottica della medicina personalizzata.

Come immagina il suo futuro?
Innanzitutto, con tutti i membri del mio team, sono impegnato a continuare a svolgere al meglio l’attività di ricerca affidatami con grande umiltà, senza mai smettere di porci domande. Nonostante le difficoltà che quotidianamente incontriamo, legate soprattutto alla sofferenza della sanità pubblica, cercheremo sempre di rispondere al bisogno di salute dei nostri malati, in un clima di collaborazione e condivisione. Sono convinto che, sostenuti da una forte motivazione e passione, riusciremo a raggiungere obiettivi condivisi ed accogliere con gioia nuove sfide.
Come ricercatore poi sogno di identificare nuovi target contro cui sviluppare terapie innovative che ottimizzino il risultato biologico riducendo gli effetti collaterali, così da migliorare la qualità di vita dei pazienti e aumentarne l’aspettativa di vita. Ma non solo. Mi piacerebbe riuscire a creare un ‘Brain Cancer Center’ all’interno della Fondazione Policlinico, una struttura in cui il paziente possa iniziare un percorso di cura, dalla diagnosi all’accompagnamento nei casi in cui le terapie purtroppo falliscono, con la consapevolezza che pur non potendo sempre guarire si può sempre curare. Un Centro dedicato alla cura dei pazienti neuro-oncologici garantirebbe un servizio di diagnosi e terapia multidisciplinare, in un continuum delle cure di tipo medico, infermieristico, farmaceutico, sociale, riabilitativo e psicologico, oltre a promuovere la ricerca scientifica, fedele al motto ‘si cura meglio dove si fa ricerca’, offrendo così a ciascun paziente la cura migliore.

Nel suo percorso si è imbattuto nella Medicina Aerospaziale dove opera come Capitano Medico del Corpo Sanitario Aeronautico. Come ricercatore non le sfuggiranno possibili interazioni interessanti dal punto di vista medico e sociale.
Ancora una volta non dobbiamo perdere l’occasione di sfruttare le conoscenze preziose che la Forza Armata è in grado di offrire a beneficio del sistema Paese. Basti pensare allo studio dell’interazione uomo-ambiente durante il volo atmosferico e spaziale e agli effetti di condizioni estreme sull’organismo umano, come l’ipossia, la microgravità o le radiazioni cosmiche, in grado di mimare alcune alterazioni presenti nei processi patologici alla base dei tumori o di molte altre patologie.
Credo che l’Aeronautica militare possa anche rappresentare un ambito interessante dove l’Associazione ‘Amici del Policlinico Donatori di Sangue’ potrebbe trovare utili collaborazioni e sinergie per avvicinare i giovani alla donazione. Come chirurgo sono consapevole del fatto che la donazione di sangue rappresenta un atto prezioso e insostituibile, indispensabile al progresso della medicina. Vorrei impegnarmi in tal senso.

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