Tra amarcord e progetti per il futuro: quattro chiacchiere con la dottoressa Nardi
Il gruppo dei medici del nostro Centro Trasfusionale si è di recente rinforzato con l'arrivo della dottoressa Barbara Nardi. Si tratta in realtà di un gradito ritorno dato che la dottoressa Nardi, laureata in medicina e chirurgia nel 1987, inizia nel 1990 la sua esperienza al Centro Trasfusionale e nel frattempo si specializza in cardiologia. Nel 2001, dopo una decina di anni in cui si è occupata della salute del cuore dei nostri donatori, lascia il Policlinico per percorrere altre strade professionali e formative per poi tornare, a luglio di quest’anno, là dove tutto ha avuto inizio.
Nell’intervista che segue cercheremo di conoscere meglio Barbara Nardi e suoi programmi, sicuri che, come in passato, diventerà un punto di riferimento per tutti i donatori. Abbiamo davanti a noi una cardiologa esperta ma per noi, per me, è sempre la ragazza sorridente e appassionata appena uscita dal liceo che non posso che trattare confidenzialmente!
Barbara, la tua relazione con il Centro Trasfusionale del Policlinico inizia ben prima della tua laurea in medicina, quando eri ancora studentessa al Liceo Vittorini di Milano. Cosa ricordi di quella tua esperienza da volontaria?
Ero all’ultimo anno del liceo; al Centro Trasfusionale servivano donatori di sangue e così, con alcuni compagni di classe, ci siamo presentati per la nostra prima donazione. Il giorno successivo sono stata contattata da un gruppo di giovani donatori volontari che mi hanno proposto di dedicare alcune ore del mio tempo libero per fare compagnia ai ragazzi leucemici ricoverati al Padiglione Granelli. Non me lo sono fatta ripetere due volte e ho colto l’occasione. Volevo diventare medico e ho pensato che quella potesse essere un’occasione unica per iniziare a prendere confidenza con il mondo di cui volevo far parte. Ed effettivamente quella è stata un’esperienza bellissima, di crescita: sono venuta in contatto con una realtà che da liceale non conoscevo perché, anche se vuoi fare il medico, non sei preparato, non puoi immaginare quale sia la sofferenza di questi ragazzi, tuoi coetanei, che non hanno avuto la fortuna di rimanere in salute.
Finito il liceo, mi sono iscritta a Medicina e ho continuato a frequentare il Centro Trasfusionale del Policlinico. All’epoca c’erano il professor Sirchia e il dottor Tenconi che mi hanno insegnato i principi basilari su come si visita un malato, e le infermiere che mi hanno insegnato a misurare la pressione e a fare i prelievi.
Arrivata al quarto anno di Medicina ho conosciuto il dottor Massari: faceva il cardiologo per i donatori e ho iniziato ad affiancarlo e ad appassionarmi al punto che poi ho iniziato a frequentare l’Unità coronarica del Policlinico. Ma anche in questo periodo sono sempre rimasta legata ai donatori collaborando con te e un gruppo di studenti del programma scuole: alle elementari per parlare del sangue, al liceo per fare sensibilizzazione sulla donazione di sangue e organi.
Nel frattempo mi sono laureata. Il professor Sirchia aveva bisogno di un cardiologo sempre presente al Centro così, mentre frequentavo la specialità a Pavia, ho iniziato a lavorare per i donatori, sia come supporto per le visite di idoneità alla donazione che come cardiologo e qui sono rimasta per ben dieci anni, finché la vita non mi ha portata a prendere altre strade.
Oggi, dopo diciannove anni, il professor Sirchia e il dottor Prati mi hanno proposto di tornare come cardiologa: ho accettato con grande entusiasmo ed eccomi qui, sono tornata a casa!
Si potrebbe affermare che l’attività di prevenzione cardiologica, fiore all’occhiello della nostra Associazione, è nata con te…
Praticamente si, inizialmente il cardiologo veniva una volta alla settimana, con me è stato istituito un servizio continuativo. Nei miei anni al Centro Trasfusionale, avevamo assicurato la presenza dello specialista che si occupasse della salute del cuore dei donatori tutti i giorni, sia per le attività ambulatoriali che per quelle strumentali come l’ecocardio.
Poi, nel 2001, hai lasciato il Policlinico per percorrere altre strade. In tutti questi anni quali esperienze professionali e formative hai maturato?
Ho lavorato in un altro ospedale milanese dove ho avuto la possibilità di fare esperienza su pazienti cardiopatici occupandomi di attività ambulatoriale del post ricovero. Inoltre, con un master in cardiologia nucleare ad Ancona, mi sono formata nell’imaging di secondo livello e per oltre 10 anni ho eseguito anche scintigrafie miocardiche e risonanze cardiache. Insomma, mi sono occupata di cose molto diverse tra loro, privilegiando però sempre l’attività ambulatoriale e il lavoro in ospedale: l’imaging è interessante, ma senza il contatto con il paziente mancherebbe qualcosa di fondamentale alla mia attività di medico.
Ed ora il ritorno al Centro Trasfusionale del Policlinico. Cosa ti aspetti? Con che spirito affronti questa nuova sfida?
Fin dal mio primo giorno qui sono stata accolta con tanto affetto, ho ritrovato persone che avevo lasciato 19 anni fa e che mi hanno fatto sentire di nuovo in famiglia.
C’è tanto entusiasmo per questo ritorno a casa; l’idea è quella di potenziare il servizio di cardiologia per i nostri donatori e puntare sulla prevenzione primaria consolidando e arricchendo i progetti già in essere.
Hai già in mente cosa fare per meglio tutelare la salute dei donatori?
Vorrei implementare i programmi di prevenzione primaria che vengono fatti, grazie all’attività del professor Valenti, sulle sindromi metaboliche, e portare avanti il progetto di prevenzione cardiovascolare e sottoporre tutti i nuovi donatori a un Ecg contestualmente al loro primo ingresso al Centro, così da escludere alterazioni congenite.
Infine, ma non meno importante, sarò di supporto all’attività degli altri colleghi medici nella gestione del donatore e nella valutazione della sua idoneità. Insomma, il fatto di avere un medico in più, cardiologo, presente tutte le mattine, porterà numerosi vantaggi per la tutela della salute dei donatori.
Un’ultima considerazione. Tra i nostri donatori ci sono tanti giovani studenti, impegnati e generosi, in cerca della loro strada. Hai qualche suggerimento per loro?
La donazione di sangue è qualcosa che si può fare per gli altri con poco: anche chi è tanto impegnato riesce sempre a trovare un paio di ore per venire a donare. Non solo, ai ragazzi ci tengo a dire che venendo a donare al Policlinico hanno anche la possibilità di entrare in contatto con un ospedale, e questo è un plusvalore perché puoi aiutare il tuo ospedale sicuramente donando sangue, ma potresti anche pensare di fare volontariato.
Ecco, per me, l’esperienza del volontariato è stata fondamentale: nel periodo trascorso con i ragazzi leucemici al Granelli da un punto di vista umano ho ricevuto molto di più di quanto ho dato. Ho dedicato qualche ora del mio tempo libero agli altri ed è stato fondamentale per il mio percorso di vita. Avevo già in mente di fare il medico però il volontariato mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà che a 18 anni, fortunatamente, la maggior parte di noi non conosce: l’ospedale, il dolore, l’umanità delle persone che lavorano lì. Il poter dare due orette del mio tempo per chiacchierare, cercare di alleviare anche solo un po’ la sofferenza di un ragazzo malato, per me, è stata davvero un’esperienza unica.
Insomma, ai nostri giovani donatori direi: fate del volontariato, declinato secondo le modalità che si adattano meglio a voi, ma dedicatevi a qualcosa che vi appassiona in favore della comunità nella quale vivete.
E se mi sarà possibile vorrei ricostituire il gruppo dei giovani donatori volontari. Non sarà facile… Ma vorrei provarci.
Grazie Barbara. Non mi rimane che dirti “Bentornata!”. Per conto mio sono convinta che farai sicuramente un buon lavoro.
Nell’intervista che segue cercheremo di conoscere meglio Barbara Nardi e suoi programmi, sicuri che, come in passato, diventerà un punto di riferimento per tutti i donatori. Abbiamo davanti a noi una cardiologa esperta ma per noi, per me, è sempre la ragazza sorridente e appassionata appena uscita dal liceo che non posso che trattare confidenzialmente!
Barbara, la tua relazione con il Centro Trasfusionale del Policlinico inizia ben prima della tua laurea in medicina, quando eri ancora studentessa al Liceo Vittorini di Milano. Cosa ricordi di quella tua esperienza da volontaria?
Ero all’ultimo anno del liceo; al Centro Trasfusionale servivano donatori di sangue e così, con alcuni compagni di classe, ci siamo presentati per la nostra prima donazione. Il giorno successivo sono stata contattata da un gruppo di giovani donatori volontari che mi hanno proposto di dedicare alcune ore del mio tempo libero per fare compagnia ai ragazzi leucemici ricoverati al Padiglione Granelli. Non me lo sono fatta ripetere due volte e ho colto l’occasione. Volevo diventare medico e ho pensato che quella potesse essere un’occasione unica per iniziare a prendere confidenza con il mondo di cui volevo far parte. Ed effettivamente quella è stata un’esperienza bellissima, di crescita: sono venuta in contatto con una realtà che da liceale non conoscevo perché, anche se vuoi fare il medico, non sei preparato, non puoi immaginare quale sia la sofferenza di questi ragazzi, tuoi coetanei, che non hanno avuto la fortuna di rimanere in salute.
Finito il liceo, mi sono iscritta a Medicina e ho continuato a frequentare il Centro Trasfusionale del Policlinico. All’epoca c’erano il professor Sirchia e il dottor Tenconi che mi hanno insegnato i principi basilari su come si visita un malato, e le infermiere che mi hanno insegnato a misurare la pressione e a fare i prelievi.
Arrivata al quarto anno di Medicina ho conosciuto il dottor Massari: faceva il cardiologo per i donatori e ho iniziato ad affiancarlo e ad appassionarmi al punto che poi ho iniziato a frequentare l’Unità coronarica del Policlinico. Ma anche in questo periodo sono sempre rimasta legata ai donatori collaborando con te e un gruppo di studenti del programma scuole: alle elementari per parlare del sangue, al liceo per fare sensibilizzazione sulla donazione di sangue e organi.
Nel frattempo mi sono laureata. Il professor Sirchia aveva bisogno di un cardiologo sempre presente al Centro così, mentre frequentavo la specialità a Pavia, ho iniziato a lavorare per i donatori, sia come supporto per le visite di idoneità alla donazione che come cardiologo e qui sono rimasta per ben dieci anni, finché la vita non mi ha portata a prendere altre strade.
Oggi, dopo diciannove anni, il professor Sirchia e il dottor Prati mi hanno proposto di tornare come cardiologa: ho accettato con grande entusiasmo ed eccomi qui, sono tornata a casa!
Si potrebbe affermare che l’attività di prevenzione cardiologica, fiore all’occhiello della nostra Associazione, è nata con te…
Praticamente si, inizialmente il cardiologo veniva una volta alla settimana, con me è stato istituito un servizio continuativo. Nei miei anni al Centro Trasfusionale, avevamo assicurato la presenza dello specialista che si occupasse della salute del cuore dei donatori tutti i giorni, sia per le attività ambulatoriali che per quelle strumentali come l’ecocardio.
Poi, nel 2001, hai lasciato il Policlinico per percorrere altre strade. In tutti questi anni quali esperienze professionali e formative hai maturato?
Ho lavorato in un altro ospedale milanese dove ho avuto la possibilità di fare esperienza su pazienti cardiopatici occupandomi di attività ambulatoriale del post ricovero. Inoltre, con un master in cardiologia nucleare ad Ancona, mi sono formata nell’imaging di secondo livello e per oltre 10 anni ho eseguito anche scintigrafie miocardiche e risonanze cardiache. Insomma, mi sono occupata di cose molto diverse tra loro, privilegiando però sempre l’attività ambulatoriale e il lavoro in ospedale: l’imaging è interessante, ma senza il contatto con il paziente mancherebbe qualcosa di fondamentale alla mia attività di medico.
Ed ora il ritorno al Centro Trasfusionale del Policlinico. Cosa ti aspetti? Con che spirito affronti questa nuova sfida?
Fin dal mio primo giorno qui sono stata accolta con tanto affetto, ho ritrovato persone che avevo lasciato 19 anni fa e che mi hanno fatto sentire di nuovo in famiglia.
C’è tanto entusiasmo per questo ritorno a casa; l’idea è quella di potenziare il servizio di cardiologia per i nostri donatori e puntare sulla prevenzione primaria consolidando e arricchendo i progetti già in essere.
Hai già in mente cosa fare per meglio tutelare la salute dei donatori?
Vorrei implementare i programmi di prevenzione primaria che vengono fatti, grazie all’attività del professor Valenti, sulle sindromi metaboliche, e portare avanti il progetto di prevenzione cardiovascolare e sottoporre tutti i nuovi donatori a un Ecg contestualmente al loro primo ingresso al Centro, così da escludere alterazioni congenite.
Infine, ma non meno importante, sarò di supporto all’attività degli altri colleghi medici nella gestione del donatore e nella valutazione della sua idoneità. Insomma, il fatto di avere un medico in più, cardiologo, presente tutte le mattine, porterà numerosi vantaggi per la tutela della salute dei donatori.
Un’ultima considerazione. Tra i nostri donatori ci sono tanti giovani studenti, impegnati e generosi, in cerca della loro strada. Hai qualche suggerimento per loro?
La donazione di sangue è qualcosa che si può fare per gli altri con poco: anche chi è tanto impegnato riesce sempre a trovare un paio di ore per venire a donare. Non solo, ai ragazzi ci tengo a dire che venendo a donare al Policlinico hanno anche la possibilità di entrare in contatto con un ospedale, e questo è un plusvalore perché puoi aiutare il tuo ospedale sicuramente donando sangue, ma potresti anche pensare di fare volontariato.
Ecco, per me, l’esperienza del volontariato è stata fondamentale: nel periodo trascorso con i ragazzi leucemici al Granelli da un punto di vista umano ho ricevuto molto di più di quanto ho dato. Ho dedicato qualche ora del mio tempo libero agli altri ed è stato fondamentale per il mio percorso di vita. Avevo già in mente di fare il medico però il volontariato mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà che a 18 anni, fortunatamente, la maggior parte di noi non conosce: l’ospedale, il dolore, l’umanità delle persone che lavorano lì. Il poter dare due orette del mio tempo per chiacchierare, cercare di alleviare anche solo un po’ la sofferenza di un ragazzo malato, per me, è stata davvero un’esperienza unica.
Insomma, ai nostri giovani donatori direi: fate del volontariato, declinato secondo le modalità che si adattano meglio a voi, ma dedicatevi a qualcosa che vi appassiona in favore della comunità nella quale vivete.
E se mi sarà possibile vorrei ricostituire il gruppo dei giovani donatori volontari. Non sarà facile… Ma vorrei provarci.
Grazie Barbara. Non mi rimane che dirti “Bentornata!”. Per conto mio sono convinta che farai sicuramente un buon lavoro.