Studio ed esperienze a scuola, il binomio perfetto per costruire i cittadini di domani
L’anno scolastico che è appena iniziato è un anno da cui ci si aspetta molto e la ripresa delle attività in presenza è un primo segnale verso un ritorno alla normalità che ci carica di ottimismo. Per la nostra rubrica Storie di donatori ho parlato con Carla Portioli, docente di scienze motorie e referente del progetto di sensibilizzazione alla donazione del sangue per il Liceo Classico Berchet di Milano. Mi ha raccontato della sua storia, del suo impegno nel Programma Scuole e degli altri progetti che organizza per far sì che i ragazzi “si ricordino che il mondo è fatto da una comunità di persone, non da un singolo”, perché “la scuola è fatta anche di esperienze che diventano opportunità di crescita per i ragazzi”.
Il liceo Berchet collabora da tanti anni con l’Associazione Amici nel promuovere la donazione di sangue. Cosa ti ha spinto ad accettare di diventare la referente di questo progetto?
Ormai sono circa dieci anni che collaboriamo con l’Associazione. Il preside dell’epoca, il professor Innocente Pessina, cercava una persona che si occupasse di gestire la parte organizzativa del progetto e io ho aderito con entusiasmo. Mi viene naturale organizzare attività e coinvolgere i ragazzi, sarà anche merito della materia che insegno in cui lo stare in gruppo e il sapere fare squadra sono fondamentali.
Come è accolto il Programma Scuole da colleghi e studenti?
Fortunatamente la maggior parte dei colleghi riconosce l’importanza del progetto e sostiene la partecipazione dei ragazzi alla giornata dedicata alla donazione; degli altri, alcuni sono indifferenti e alcuni, pochi, mostrano un’aria un po’ risentita perché porto via da scuola degli studenti che devono fare la maturità. I ragazzi, invece, sono quelli che accolgono la proposta con genuino entusiasmo, rispondono subito e vorrebbero partecipare numerosi anche se li preoccupano un po’ i requisiti per l’idoneità alla donazione.
Nonostante le difficoltà di questo periodo non hai mai smesso di coinvolgere i ragazzi nella donazione di sangue; come ci sei riuscita?
In questi ultimi due anni portare avanti il programma è stato un po’ più complicato. In passato ho sempre organizzato due donazioni di gruppo all’anno, una in autunno e una in tarda primavera. Ero riuscita a organizzare quella di novembre 2019 e poi, per quella di maggio 2020 e per tutto l’anno scolastico successivo, ho dovuto cambiare tecnica e coinvolgere maggiormente le colleghe che avevano le classi di maggiorenni. Ho spiegato loro il progetto e mi hanno aiutato a raccogliere le adesioni. Io ho fatto da referente: ho raggruppato i partecipanti di tutte le classi, creato delle liste di WhatsApp per lo scambio di comunicazioni, tenuto i contatti con i referenti dell’Associazione “Amici”, inviato i calendari e condiviso la documentazione e le informazioni utili. Siamo anche riusciti a organizzare un incontro informativo con l’Associazione a cui hanno partecipato, a distanza, tutti i ragazzi interessati che, successivamente, si sono presentati in forma autonoma a donare.
Non sei solo un punto di riferimento per i tuoi studenti, ma sei anche una donatrice di sangue. Come hai iniziato?
Pensa che anche io ho iniziato a donare con la scuola, quando sono diventata referente del progetto. La donazione è una di quelle cose che avevo in mente di fare da che ne ho memoria, ma che, per una serie di motivi, non avevo mai fatto fino a quando non ho iniziato a occuparmi del progetto di sensibilizzazione per il Berchet e la donazione è stata la sua naturale conseguenza. Da allora ho sempre donato in occasione delle donazioni di gruppo dei ragazzi e uno dei dispiaceri di questo periodo è stato proprio il dover rinunciare a questa giornata che amo molto perché è un momento in cui si chiacchiera, i ruoli sono meno definiti e ci si prende anche un po’ in giro per allentare un po’ la tensione.
Come docente sei molto attiva anche in altri progetti di volontariato per i ragazzi, parlaci di quello a cui sei particolarmente affezionata.
Una decina di anni fa, ancora una volta grazie a un contatto del professor Pessina, ho avviato il progetto Sportivamente Insieme, in cui invito a scuola, a fare lezione con noi, alcuni pazienti con disabilità intellettiva che frequentano i centri diurni del Comune di Milano. Sono persone di tutte le età che partecipano alle nostre lezioni di educazione fisica. La prima lezione la imposto io, le successive le faccio organizzare agli studenti, a gruppi, cercando di far capire loro che le attività proposte dovranno essere alla portata di tutti. Nella seconda fase del progetto chiedo agli studenti di dedicare due pomeriggi a testa, nell’arco di tutto l’anno scolastico, per giocare con i ragazzi con sindrome di Down di una squadra di basket. Abbiamo anche instaurato un buon rapporto con una squadra di basket in carrozzina, la Briantea84. Gli atleti della Briantea vengono a scuola si raccontano e giocano una partita di basket in carrozzina con i ragazzi. Al termine del progetto andiamo tutti a vedere la finale di campionato, è spettacolare! E questo è stato fino al 2020. È un’esperienza eccezionale, per me, umanamente ma soprattutto per i ragazzi, che imparano a relazionarsi con persone che non ti rispondono come tu ti aspetti e poi ridimensionano un po’ i loro problemi.
C’è un messaggio che vorresti lanciare ai ragazzi?
Viviamo in un mondo estremamente “ego-centrato” e, sempre di più, i ragazzi sono molto focalizzati sui loro bisogni, sul loro personale e sul loro contesto. Insegnando da tantissimi anni ho visto un grande cambiamento in questa direzione: sentono come estremamente lontano tutto ciò che non li tocca personalmente, tendono a non guardarsi intorno. Aprirsi all’altro e invitarli a donare il sangue è un primo passo, tutto sommato facile, per spingerli a impegnarsi socialmente.
Poi, con il progetto Sportivamente Insieme, diventa ancora più evidente che esiste un altro mondo rispetto al proprio immediato, un mondo di cui bisogna tenere conto e con cui imparare a relazionarsi.
Quello che mi interessa è che si ricordino che il mondo è fatto da una comunità di persone, non da un singolo. Ecco, per questo mi piacerebbe far ripartire tutti i progetti; ho voglia di tornare alla normalità anche a scuola perché la scuola è fatta anche di esperienze che diventano opportunità di crescita per i ragazzi.
Il liceo Berchet collabora da tanti anni con l’Associazione Amici nel promuovere la donazione di sangue. Cosa ti ha spinto ad accettare di diventare la referente di questo progetto?
Ormai sono circa dieci anni che collaboriamo con l’Associazione. Il preside dell’epoca, il professor Innocente Pessina, cercava una persona che si occupasse di gestire la parte organizzativa del progetto e io ho aderito con entusiasmo. Mi viene naturale organizzare attività e coinvolgere i ragazzi, sarà anche merito della materia che insegno in cui lo stare in gruppo e il sapere fare squadra sono fondamentali.
Come è accolto il Programma Scuole da colleghi e studenti?
Fortunatamente la maggior parte dei colleghi riconosce l’importanza del progetto e sostiene la partecipazione dei ragazzi alla giornata dedicata alla donazione; degli altri, alcuni sono indifferenti e alcuni, pochi, mostrano un’aria un po’ risentita perché porto via da scuola degli studenti che devono fare la maturità. I ragazzi, invece, sono quelli che accolgono la proposta con genuino entusiasmo, rispondono subito e vorrebbero partecipare numerosi anche se li preoccupano un po’ i requisiti per l’idoneità alla donazione.
Nonostante le difficoltà di questo periodo non hai mai smesso di coinvolgere i ragazzi nella donazione di sangue; come ci sei riuscita?
In questi ultimi due anni portare avanti il programma è stato un po’ più complicato. In passato ho sempre organizzato due donazioni di gruppo all’anno, una in autunno e una in tarda primavera. Ero riuscita a organizzare quella di novembre 2019 e poi, per quella di maggio 2020 e per tutto l’anno scolastico successivo, ho dovuto cambiare tecnica e coinvolgere maggiormente le colleghe che avevano le classi di maggiorenni. Ho spiegato loro il progetto e mi hanno aiutato a raccogliere le adesioni. Io ho fatto da referente: ho raggruppato i partecipanti di tutte le classi, creato delle liste di WhatsApp per lo scambio di comunicazioni, tenuto i contatti con i referenti dell’Associazione “Amici”, inviato i calendari e condiviso la documentazione e le informazioni utili. Siamo anche riusciti a organizzare un incontro informativo con l’Associazione a cui hanno partecipato, a distanza, tutti i ragazzi interessati che, successivamente, si sono presentati in forma autonoma a donare.
Non sei solo un punto di riferimento per i tuoi studenti, ma sei anche una donatrice di sangue. Come hai iniziato?
Pensa che anche io ho iniziato a donare con la scuola, quando sono diventata referente del progetto. La donazione è una di quelle cose che avevo in mente di fare da che ne ho memoria, ma che, per una serie di motivi, non avevo mai fatto fino a quando non ho iniziato a occuparmi del progetto di sensibilizzazione per il Berchet e la donazione è stata la sua naturale conseguenza. Da allora ho sempre donato in occasione delle donazioni di gruppo dei ragazzi e uno dei dispiaceri di questo periodo è stato proprio il dover rinunciare a questa giornata che amo molto perché è un momento in cui si chiacchiera, i ruoli sono meno definiti e ci si prende anche un po’ in giro per allentare un po’ la tensione.
Come docente sei molto attiva anche in altri progetti di volontariato per i ragazzi, parlaci di quello a cui sei particolarmente affezionata.
Una decina di anni fa, ancora una volta grazie a un contatto del professor Pessina, ho avviato il progetto Sportivamente Insieme, in cui invito a scuola, a fare lezione con noi, alcuni pazienti con disabilità intellettiva che frequentano i centri diurni del Comune di Milano. Sono persone di tutte le età che partecipano alle nostre lezioni di educazione fisica. La prima lezione la imposto io, le successive le faccio organizzare agli studenti, a gruppi, cercando di far capire loro che le attività proposte dovranno essere alla portata di tutti. Nella seconda fase del progetto chiedo agli studenti di dedicare due pomeriggi a testa, nell’arco di tutto l’anno scolastico, per giocare con i ragazzi con sindrome di Down di una squadra di basket. Abbiamo anche instaurato un buon rapporto con una squadra di basket in carrozzina, la Briantea84. Gli atleti della Briantea vengono a scuola si raccontano e giocano una partita di basket in carrozzina con i ragazzi. Al termine del progetto andiamo tutti a vedere la finale di campionato, è spettacolare! E questo è stato fino al 2020. È un’esperienza eccezionale, per me, umanamente ma soprattutto per i ragazzi, che imparano a relazionarsi con persone che non ti rispondono come tu ti aspetti e poi ridimensionano un po’ i loro problemi.
C’è un messaggio che vorresti lanciare ai ragazzi?
Viviamo in un mondo estremamente “ego-centrato” e, sempre di più, i ragazzi sono molto focalizzati sui loro bisogni, sul loro personale e sul loro contesto. Insegnando da tantissimi anni ho visto un grande cambiamento in questa direzione: sentono come estremamente lontano tutto ciò che non li tocca personalmente, tendono a non guardarsi intorno. Aprirsi all’altro e invitarli a donare il sangue è un primo passo, tutto sommato facile, per spingerli a impegnarsi socialmente.
Poi, con il progetto Sportivamente Insieme, diventa ancora più evidente che esiste un altro mondo rispetto al proprio immediato, un mondo di cui bisogna tenere conto e con cui imparare a relazionarsi.
Quello che mi interessa è che si ricordino che il mondo è fatto da una comunità di persone, non da un singolo. Ecco, per questo mi piacerebbe far ripartire tutti i progetti; ho voglia di tornare alla normalità anche a scuola perché la scuola è fatta anche di esperienze che diventano opportunità di crescita per i ragazzi.