Un nuovo illustre componente per il Consiglio dell’Associazione Amici

Un nuovo illustre componente per il Consiglio dell’Associazione Amici
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Recentemente nel direttivo dell’Associazione Amici è entrato un nuovo illustre componente: il professor Luca Baldini, direttore del reparto di Ematologia del nostro Ospedale. Sono trascorsi più di quarant’anni da quando il professor Baldini ha iniziato, da giovane laureando in medicina, la sua carriera professionale in Policlinico e tra qualche mese si appresta a concludere questo capitolo della sua vita per iniziarne uno nuovo.
Nell’intervista che segue abbiamo parlato della sua storia in Policlinico, delle sue passioni e delle sue aspettative future, incluse quelle per il nuovo ruolo di consigliere della nostra Associazione.

Professor Baldini, ci racconta qualcosa di lei? Si sta avviando verso la fine del mandato in Policlinico, come ha vissuto questi anni da direttore dell’Ematologia?
Ho iniziato a lavorare, come assistente medico ospedaliero, nel 1980, presso la prestigiosa Clinica Medica diretta dal professor Polli, interessandomi subito delle patologie tumorali del sistema linfatico, dai linfomi alle sindromi linfoproliferative fino alle leucemie linfoblastiche acute. Lo studio clinico-biologico di queste patologie neoplastiche ha rappresentato l’interesse prevalente della mia vita professionale. Nel 2006 venni chiamato dall’Università degli Studi di Milano, in qualità di Professore associato in Ematologia, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia. All’interno della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico ho avuto diversi incarichi dirigenziali e, dal 2018, sono diventato direttore dell’Ematologia del Policlinico. Dall’AA 2015-16 all’AA 2020-21 sono stato direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia dell’Università degli studi di Milano. Adesso questi diversi incarichi stanno volgendo al termine perché nell’ottobre 2022 andrò in pensione.
Se è vero che nel corso degli anni da Direttore ho dovuto rinunciare, in parte, al contatto diretto con il paziente è anche vero che ho avuto la possibilità di dedicarmi maggiormente agli aspetti organizzativi e relazionali dell’Unità Operativa cercando di creare per i miei collaboratori il migliore ambiente possibile in cui svolgere la loro attività clinica e di ricerca. Non è stata una sfida semplice, soprattutto quando hai creato negli anni rapporti affettivi oltre che professionali con le stesse persone, ma credo di essere riuscito a creare un ambiente di lavoro in cui si possa lavorare in modo organizzato e sinergico, presupposti fondamentali per una crescita di qualsiasi gruppo di lavoro. Ammetto di essere molto contento dei miei collaboratori e dei risultati ottenuti insieme: siamo un’Unità Operativa con un ottimo rapporto in termini di quantità e qualità di assistenza prestata, e con una  produzione scientifica di alto livello.  Inoltre, presso la nostra UO, sono attive molte sperimentazioni cliniche, anche con studi di fase 1, che consentono di testare rapidamente l’efficacia di nuove molecole terapeutiche. Questo è ovviamente molto importante non solo per offrire ai pazienti, che curiamo da anni, tutte le opzioni terapeutiche più innovative ma anche per progettare lo sviluppo di nuovi e più efficaci itinerari di cura. Questo è stato possibile grazie al lavoro di un fantastico team di Trial Office, costituito da quattro efficientissimi study coordinator e da un infermiere di ricerca, che operano in stretta collaborazione con la Direzione scientifica della nostra Fondazione.
I fondi che traiamo dalla ricerca scientifica e farmacologica possono così essere utilizzati per finanziare borse di studio e contratti per giovani medici e biologi, completando così il ciclo virtuoso dell’organizzazione.

Dal momento in cui ha iniziato il suo iter professionale come è cambiata l’ematologia?
L’esperienza con il professor Polli, e suoi collaboratori, con cui ho svolto la tesi di laurea e, successivamente, anche la specialità, mi ha trasmesso la passione per l’ematologia: la sua peculiarità sta nel fatto che si tratta di una disciplina che consente di affrontare la malattia sia da un punto di vista clinico, che di approfondimento degli aspetti biologici e patogenetici delle varie forme patologiche. Possiamo dire che è una delle discipline mediche alle quali si può applicare il concetto di ricerca traslazionale. Quando iniziai, l’attività del medico ematologo era suddivisa tra attività clinica al letto del paziente al mattino e attività di ricerca in laboratorio al pomeriggio. A questo proposito non posso non ricordare il ruolo della professor A.T. Maiolo, Direttore per anni dell’Unità di diagnostica e ricerca di laboratorio in Ematologia della nostra Fondazione, che non poco ha contribuito a stimolare costantemente la curiosità verso gli aspetti biologici delle emopatie maligne. In quel contesto, fra i primi in Italia, è stato messo a punto, con grande lungimiranza, un approccio integrato alla diagnostica delle malattie onco-ematologiche, basato su tecniche citofluorimetriche e genetico-molecolari. A questo proposito, ricordo con grande affetto e nostalgia la collaborazione fondamentale del professor Neri e della dottoressa Cro, colleghi e cari amici di una vita.
Negli ultimi 15-20 anni, con l’avvento della genomica come metodo di studio delle malattie onco-ematologiche molto è cambiato. La conoscenza del genoma umano è fondamentale per lo studio dei tumori del sangue perché permette di identificare i punti critici dove avvengono le mutazioni genetiche più importanti nelle varie malattie del sangue. Queste conoscenze hanno avuto un impatto fondamentale sia nella diagnostica che nella terapia mettendo a disposizione del clinico, oltre alla classica chemioterapia, che continua ad avere un ruolo molto importante in certe malattie, diversi farmaci ad azione biologica estremamente efficaci e promettenti che stanno cambiando la prognosi anche delle malattie più severe, come le leucemie acute. Addirittura, per la leucemia mieloide cronica, abbiamo a disposizione, ormai da anni, un farmaco biologico che consente di colpire in modo specifico la lesione genetica e di mantenere il paziente in una remissione talmente duratura che possiamo parlare, in alcuni casi, di guarigione dalla malattia. Inoltre, negli ultimi anni, sempre grazie agli sviluppi della genomica, sono state messe a punto terapie cellulari innovative che permettono di fare quello che già si sognava di fare quando ero neo-specialista: attivare le cellule immunitarie contro le cellule patologiche del paziente, soprattutto nelle forme resistenti alle classiche chemioterapie. Oggi, tutto questo è diventato realtà. Lo sviluppo delle tecniche genomiche consente di “armare in vitro” le cellule immunitarie ottenute dal sangue del paziente e attivarle nei confronti della cellula tumorale del paziente stesso. Questa strategia di cura è la cosiddetta Car-T-cell Therapy che sta dando risultati molto interessanti nella leucemia linfoblastica del bambino in quei pochi casi di forme resistenti alla chemioterapia, e nei linfomi aggressivi dell’adulto e nuovi ambiti terapeutici si stanno aprendo. Questi obiettivi si potranno ottenere anche in pazienti anziani e più compromessi con lo sviluppo di anticorpi monoclonali bi-specifici che presentano notevole efficacia a fronte di una tossicità e complessità di somministrazione molto minor.
Insomma, c’è un grandissimo fermento in campo ematologico e il futuro appare molto eccitante e incoraggiante. Purtroppo, il mio tempo scade ma sono certo che i miei collaboratori e i giovani molto promettenti che si stanno inserendo nella nostra UO, saranno all’altezza di portare avanti la battaglia contro queste gravi malattie che colpiscono pazienti di tutte le età. Certamente far parte di un IRCCS di elevato prestigio, quale la nostra Fondazione, aiuterà molto in tal senso.

A proposito di pensione, quali progetti ha per il futuro?
Si arriva alla pensione sempre abbastanza impreparati, soprattutto nell’ambito della professione medica, perché non si smette mai di essere “dottore”. Il contatto costante con il paziente, i fallimenti e i successi che fanno parte della pratica clinica quotidiana, generano una continua tensione che hanno condizionato e sempre condizioneranno la mia vita, non solo professionale. Per questo mi chiedo spesso cosa succederà il primo giorno di pensione: progetti precisi non ne ho ancora. Non sarà facile cambiare abitudini: rinunciare al tram che ogni giorno da 35 anni mi accompagna fino all’ingresso di via Sforza, salutare collaboratori già in piena attività di prima mattina, incontrare i pazienti in sala d’attesa ed incoraggiarli nel loro percorso indirizzare giovani specializzandi verso una Medicina che ponga sempre al centro il paziente e spronarli al continuo aggiornamento scientifico per trovare soluzioni terapeutiche sempre più efficaci.
Sicuramente è arrivato anche il momento di dedicare, finalmente, tempo alla mia famiglia: gli anni passano e desidero vivere momenti di qualità con loro, magari attraverso viaggi alla scoperta di altri Paesi, che ci hanno sempre unito e appassionato. In termini pratici, vorrei seguire le orme di mia moglie Mirella che, come medico oculista, svolge attività di volontariato a favore di pazienti bisognosi sia a Milano presso l’Opera di San Francesco sia all’estero, in una ONLUS in Costa D’Avorio. D’altro canto, posso affermare di avere “il pollice verde” quindi avrò più tempo da dedicare alla cura delle piante del terrazzo di casa mia e, se me lo concederà, anche  quelle a casa di mia figlia Marta. Se devo dirla tutta, non penso proprio che potrò fare a meno dell’Ematologia e, per quanto possibile, desidero rimanere aggiornato sulle principali innovazioni scientifiche attraverso la Letteratura e lo scambio di informazioni con i miei collaboratori.

Di recente è divenuto consigliere dell’Associazione Amici; quali aspettative/progetti ha per il nuovo incarico?
Ho accolto molto volentieri l’opportunità che mi ha dato il professor Sirchia di entrare, come consigliere, nel direttivo dell’Associazione Amici del Policlinico Donatori di Sangue ODV.
Il professor Sirchia al Centro Trasfusionale ha dato vita a un centro donatori di primissimo livello e anche nei periodi più critici dell’anno, in reparto, abbiamo sempre potuto contare sul fatto che la sacca di sangue, o il pool di piastrine, per i nostri pazienti sarebbero arrivati.
Impegnarmi nell’Associazione sarà un altro modo, molto gratificante, per dare un senso al tempo che avrò a disposizione in futuro. Credo che sarà anche un prolungamento, quasi fisiologico, della mia attività assistenziale, ma soprattutto un gesto di riconoscenza nei confronti dei tanti volti ignoti che hanno consentito di portare a guarigione molti dei nostri pazienti. In quanto medico vorrei prodigarmi per favorire progetti di monitoraggio dello stato di salute dei donatori e, spero il più raramente possibile, per l’identificazione di situazioni patologiche. Riconosco però di essere nuovo a questo tipo di attività e sarà solo frequentando l’Associazione che troverò lo spazio a me più congeniale e in cui poter essere utile.

Da ematologo, c’è qualcosa che vuole dire ai donatori di sangue dell’Associazione Amici?
Nel corso della mia lunga professione ho avuto modo di constatare direttamente quanto sia importante la donazione di sangue. È vero che con i progressi scientifici le terapie migliorano sempre di più, ma la richiesta e il supporto trasfusionale di globuli rossi e di piastrine nei nostri pazienti ematologici sono ancora elementi fondamentali per poterli curare. I vecchi farmaci chemioterapici, ma anche i nuovi farmaci biologici inducono molto spesso, in diverse malattie onco-ematologiche una fase di inibizione della funzione del midollo e, di conseguenza, si verificano nei pazienti delle situazioni di anemia e di piastrinopenia iatrogene (causate da farmaci). In queste fasi critiche della malattia, oltre che per i pazienti sottoposti a trapianto di midollo, il supporto trasfusionale è una fonte di vita e un supporto indispensabile per poter continuare il loro percorso terapeutico. Colgo qui l’occasione per ringraziare tutti gli ignoti donatori che hanno sostenuto le migliaia di pazienti che ho visto in 40 anni di attività in Ospedale e a quali, con il mio impegno nell’Associazione Amici, spero di poter restituire, almeno in parte, quanto hanno donato.
 
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