Le promesse non mantenute del sangue artificiale, il ruolo unico dei donatori e molto altro

Le promesse non mantenute del sangue artificiale, il ruolo unico dei donatori e molto altro
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Professor Mannucci, Lei è tra le personalità scientifiche più note in Italia e all’estero. Ha lavorato a lungo in Policlinico eseguendo importanti ricerche in campo ematologico, in particolare sulla coagulazione, dirigendo il Centro Emostasi e Trombosi, un centro d’eccellenza divenuto punto di riferimento per la Lombardia e l’intero Paese. Ha terminato la sua carriera ricoprendo per 5 anni, dal 2010 al 2015, il ruolo di Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.

Ci racconta di Lei? Quando ha cominciato e cosa le è rimasto dell’esperienza di medico internista e ricercatore?
Come professore di medicina interna ho sempre apprezzato le interazioni con gli studenti spesso assai stimolanti dato che la clinica medica rappresenta il culmine della formazione medica e la si studia negli ultimi anni di università. Ma mi ha sempre colpito il fatto che la maggior parte degli studenti vuole specializzarsi magari proprio in medicina interna ma non, per esempio, in medicina generale o medicina di famiglia e adesso questo è un grosso problema perché manchiamo proprio dei medici di famiglia. Chi lo sa, probabilmente è stata anche colpa di noi professori che non enfatizzavamo abbastanza questo sbocco professionale nel corso di laurea, oltre il fatto che non c’è una scuola di specialità.
Come medico invece, dei miei 30 anni di carriera, ricordo molto bene i pazienti che ho avuto, prima a Cagliari, dove ho lavorato per 4 anni e poi qui, all’Ospedale Policlinico. Quando ho iniziato, i pazienti erano relativamente giovani e in genere avevano una sola malattia: il problema principale consisteva nel dover fare una diagnosi e trovare la terapia. A poco a poco, però, il quadro è cambiato, i pazienti sono oggi rappresentati soprattutto da anziani con multimorbilità, sottoposti a più terapie contemporaneamente, complicando il processo diagnostico e ponendo nuovi problemi come quello dello studio dell’interazione tra farmaci. Io sapevo di non conoscere bene la farmacologia e così mi sono appoggiato all’istituto Mario Negri (allora diretto dal professor Garattini e ora dal professor Remuzzi) per approfondire la questione e con loro credo di aver fatto l’esperienza più importante della mia carriera, anche se come ricercatore mi sono sempre occupato di sangue.

Di recente Lei ha pubblicato, con il professor Guglielmo Mariani, il libro divulgativo “IL NOSTRO SANGUE(4)”. È un argomento che crediamo possa interessare molto i nostri donatori, cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Il libro è nato durante il primo lockdown quando abbiamo avuto due mesi in cui non potevamo fare altro che scrivere e leggere. Sia come ricercatore che come clinico mi sono sempre occupato di sangue, così, l’idea di far conoscere questo complesso e affascinante argomento a tutti è stata la spinta a scrivere il libro. Solitamente noi medici tendiamo a raccontare e a scrivere in maniera complessa, anche quando dovremmo essere divulgativi, e non arriviamo al pubblico. Con il professor Mariani abbiamo fatto un grande sforzo per essere non solo scientificamente rigorosi ma anche comprensibili. Ad esempio abbiamo scelto di utilizzare un linguaggio ricco di similitudini: volevamo arrivare a tutti e la competenza da scrittore di Mariani che, oltre a essere uomo di scienza è anche un romanziere, mi ha aiutato molto in questo sforzo.
Spero che il libro sia apprezzato soprattutto da coloro che generalmente non si interessano di ematologia. Trattiamo di molti aspetti legati al sangue, spieghiamo cosa è, parliamo di fatti di cronaca e superstizioni, del commercio del sangue, della donazione di sangue e c’è anche un capitolo dedicato alla comprensione degli esiti delle analisi del sangue. Insomma, è un volume di interesse generale, e ci tengo a sottolineare che, se il libro è alla portata di tutti, il merito è più di Mariani che mio.

A proposito di donatori di sangue, nel capitolo VI viene trattato il tema del sangue artificiale e delle promesse non mantenute; vuole parlarcene?
Purtroppo sono ‘promesse non mantenute’ perché continuiamo a essere dipendenti da questo gesto meraviglioso, e per me sempre stimolante, che è la donazione del sangue.
Vero che adesso, grazie alle tecnologie del DNA ricombinante, siamo in grado di produrre molte proteine tra quelle contenute nel plasma, la parte liquida del sangue, come i fattori della coagulazione e presto arriveremo a produrre anche l’albumina; per le immunoglobuline sarà un po’ più difficile, ma si sta avviando anche questo percorso di ricerca.
Il problema principale per il sangue artificiale sono i globuli rossi, cioè le cellule del sangue che legano e trasportano l’ossigeno e che, di fatto, sarebbero l’ambito ideale di utilizzo del sangue artificiale perché consentirebbero di far fronte ai problemi di approvvigionamento, trasporto e conservazione assicurando un prodotto sicuro ed efficace in quantità illimitate. La linea di ricerca più promettente è la produzione di globuli rossi partendo da cellule staminali emopoietiche, che sono quelle cellule definite “pluripotenti”, prodotte dal midollo osseo, da cui hanno origine tutte le cellule del sangue e del sistema immunitario (i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine). Uno dei problemi legati alla produzione dei globuli rossi a partire dalle cellule staminali è la loro resa: per avere quelle quantità di globuli rossi utili a una trasfusione (cioè circa 2000 miliardi) sarebbe necessaria un’area di laboratorio grande quanto due campi da tennis! Oggi questa produzione è impraticabile ma può darsi che, con gli avanzamenti della ricerca scientifica, gli scienziati trovino un metodo che consenta di migliorare la resa delle colture cellulari.
La ricerca si sta concentrando anche sulla produzione in laboratorio di sostanze sintetiche in grado di portare l’ossigeno ai tessuti, come fa l’emoglobina, e i vantaggi di questi prodotti sarebbero soprattutto per esigenze militari: sangue in disponibilità illimitate per situazioni di catastrofi belliche o atti terroristici; e per le emergenze-urgenze. A oggi però non c’è nulla di utilizzabile nella pratica clinica, alcuni composti sintetici sperimentati negli ultimi 20 anni che sono in grado di legare l’ossigeno si sono dimostrati pericolosi per la salute, esponendo al rischio di trombosi, ictus cerebrali o infarto miocardico. Quindi a oggi, e per molti anni a venire, continueremo a dipendere dai donatori di sangue. Questo libro è anche per loro, perché vedano quanto è importante e concreto quello che fanno.

A conclusione di questa intervista, cosa si sente di dire ai nostri donatori?
Ai donatori mi sento di dire che fanno un’azione meritoria, basata su un forte spirito civico e di solidarietà. Non c’è nessun altro Centro donazioni organizzato come il Centro Trasfusionale del Policlinico, qui si dedica particolare attenzione al buon uso del sangue e alla salute dei donatori ai quali sono riservati servizi di medicina preventiva cui difficilmente avrebbero accesso. E se il Centro Trasfusionale del Policlinico continua a essere, ancora oggi, uno dei migliori Centri Trasfusionali d’Italia il merito va innanzitutto al Professore Sirchia, ma anche ai suoi successori che si stanno dimostrando abili nel portare avanti la sua missione.
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Questi sono solo alcuni dei passaggi che hanno portato allo sviluppo del moderno sistema trasfusionale. Per tutti coloro interessati ad approfondire questo tema, il professor Mannuccio Manucci e il professor Giuglielmo Mariani, autori del libro “Il Nostro Sangue. Mito, Storia e Speculazione. Scienza e Biotecnologie” offrono ai tutti i donatori il capitolo “Il sangue, le guerre e la trasfusione, una lunga storia”.

Il capitolo, è scaricabile al seguente link: https://www.donatoriamici.it/static/upload/san/sangue-storia.pdf