Le molte vite del nostro sangue

Le molte vite del nostro sangue
Cosa succede terminata la donazione di sangue? Facile, dopo la donazione si va a trovare Max, al bar, che ci aspetta per un buon panino! Questo è vero, ma vi siete mai chiesti cosa succede alla vostra sacca di sangue una volta che l’infermiera/e vi sfila l’ago e, dopo avervi chiesto per l’ennesima volta: “Nome, cognome e data di nascita”, se la porta via? Che fine fa il sangue donato e chi sono i pazienti riceventi?
Ne abbiamo parlato con Stefania Villa, biologa responsabile del settore Accettazione Sangue e del laboratorio di analisi e produzione degli emocomponenti della Medicina Trasfusionale del Policlinico di Milano.

Se un donatore qualsiasi la incontrasse per strada molto probabilmente non la riconoscerebbe, ma lei al Centro Trasfusionale ricopre un ruolo importantissimo, ci racconta cosa fa?
Effettivamente io non lavoro a stretto contatto con i donatori di sangue, ma sono la persona responsabile del settore che si occupa dell’accettazione delle richieste trasfusionali provenienti dai diversi reparti del Policlinico e dagli altri ospedali milanesi convenzionati con il nostro Centro Trasfusionale. Mi occupo anche dell’esecuzione di tutti i test che devono essere eseguiti prima di assegnare del sangue compatibile a ciascun paziente e coordino l’attività del laboratorio di lavorazione degli emocomponenti: il sangue intero donato, infatti, non viene trasfuso così come è stato raccolto, ma viene scomposto e ulteriormente lavorato per ottenere globuli rossi, plasma fresco e congelato e pool piastrinici. Non solo, nel nostro laboratorio produciamo anche emocomponenti per uso topico, ossia dei prodotti ottenuti dalla lavorazione del sangue donato che non verranno trasfusi, ma applicati, come se fossero una pomata, sulla cute, sulle ferite o in altre zone del corpo del paziente.
Il laboratorio di produzione degli emocomponenti, nello svolgimento della sua attività deve rispettare rigorosamente i requisiti stabiliti dal decreto ministeriale per la produzione degli emocomponenti: i prodotti ottenuti devono essere sicuri e tracciabili per cui si deve sapere esattamente quale specifico emocomponente è stato trasfuso a quale paziente particolare. Dobbiamo conoscere tutto, “Dalla vena alla vena”, come si dice in gergo! E per farlo utilizziamo un rigoroso sistema di controllo delle etichettature presenti sugli emocomponenti, di codifica dei prodotti ottenuti e di consegna ai pazienti.
Questo è il motivo per cui difficilmente i donatori mi riconoscerebbero se mi incontrassero per strada, io intervengo nella seconda fase della vita della sacca donata quando, dal settore donatori al primo piano del Padiglione Marangoni, arriva nei nostri laboratori al piano terra: è un’attività fondamentale per garantire la sicurezza delle trasfusioni, ma è sconosciuta ai più ed è visibile solo in occasione di visite guidate al Centro Trasfusionale.

Quali sono le preoccupazioni principali nel suo lavoro? E in questo momento, ne ha?
Di preoccupazioni nel mio lavoro ne ho molte, ma ce n’è una in particolare che mi accompagna ogni giorno ed è quella di avere la quantità di emocomponenti adeguata a soddisfare tutte le richieste che arrivano dai nostri reparti. Il Policlinico di Milano è un ospedale molto complesso, con degli ambulatori e dei reparti di alta eccellenza e la necessità di sangue è sempre molto elevata. Se è vero che i pazienti periodici in cura ci permettono di conoscere con un buon grado di sicurezza la quantità di sangue necessaria in un dato momento, l’elevata attività di un pronto soccorso come quello del Policlinico, i trapianti d’organo e altri tipi di emergenze come quelle ostetrico ginecologiche non sono prevedibili e richiedono invece la presenza costante, in sede, di un elevato numero di emocomponenti e la mia più grande preoccupazione è proprio quella di avere sangue a sufficienza per tutti i pazienti e di non dover rimandare nessuna trasfusione.
Prima della pandemia da Covid-19, nel corso dell’anno sapevamo che i periodi abitualmente caratterizzati da una carenza di sangue erano l’estate e l’inizio del nuovo anno con il rientro dei milanesi dalle vacanze di Natale. Adesso, invece, questa carenza è quasi mensile, più o meno accentuata ma è costante e il mio lavoro è diventato ancora più difficile. Ci tengo anche a ricordare che durante i due lockdown del 2020 e del 2021, gli interventi programmati di chirurgia elettiva sono stati rimandati e sono stati riprogrammati a partire dalla fine della fase emergenziale, portando a un aumento della necessità di sangue; e che a maggio di quest’anno al Policlinico è stato aperto il nuovo reparto della cardiochirurgia e, se è vero che non si eseguono trapianti di cuore, è anche vero che ad ogni intervento chirurgico di questo reparto io devo garantire almeno 4 unità di globuli rossi. Quindi, la domanda di sangue continua a crescere, ma a questa crescita, però, non corrisponde un parallelo aumento della raccolta sangue: al contrario, questi ultimi anni sono caratterizzati da una preoccupante e costante diminuzione delle donazioni e del numero di donatori, allargando ancora di più il divario tra la domanda e l’offerta.
 
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Quando si pensa a un paziente ricevente di una trasfusione, l’immaginario collettivo ci porta a pensare agli incidenti gravi o agli interventi chirurgici, ma ci sono anche molti usi meno comuni del sangue, che però cambiano la qualità della vita delle persone, ci fa qualche esempio?
Oltre a quegli eventi più vividi che abbiamo tutti ben presente ci sono molti altri casi in cui la trasfusione è salvavita.
Pensiamo, ad esempio, ai pazienti affetti da talassemia (1). La talassemia è una malattia genetica ereditaria che si caratterizza per una ridotta produzione dell’emoglobina, una proteina, contenuta nei globuli rossi, fondamentale per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti. Esistono diverse forme di talassemia e per trattare quelle più gravi sono necessarie trasfusioni di sangue periodiche. Quindi, per i pazienti affetti da talassemia maggiore, la trasfusione è una terapia salvavita: fin dall’infanzia e per il resto della loro vita, queste persone sanno che ogni tre settimane dovranno venire in ospedale per sottoporsi a una trasfusione di due o tre unità di globuli rossi.
Ci sono poi i pazienti che si sottopongono a trapianto di midollo o di cellule staminali che, soprattutto nelle prime fasi post trapianto, hanno la necessità di un elevato trasporto trasfusionale.
Non dimentichiamoci poi delle richieste di sangue che riceviamo da una clinica ostetrico ginecologica importante come la Mangiagalli partoriscono numerose donne, la maggioranza con gravidanze serene, ma ci sono anche molte pazienti con patologie preesistenti particolari e per le quali aumenta il rischio della necessità di una trasfusione durante il parto. In generale, quando si verifica un’emergenza in sala parto il fabbisogno trasfusionale richiesto è elevato perché l’organo sul quale si va a intervenire è molto irrorato dai vasi sanguigni.
Non solo trasfusioni durante il parto, ma le future mamme seguite dall’ambulatorio di diagnosi prenatale del Policlinico potrebbero aver bisogno di trasfusioni in utero e per trasfondere in sicurezza questi bambini non ancora nati abbiamo bisogno di sangue con caratteristiche specifiche e proveniente da donatori periodici di gruppo 0 neg.
Un’altra eccellenza presente alla clinica Mangiagalli è il reparto di neonatologia in cui sono in cura bambini appena nati con patologie per le quali la trasfusione non sarebbe necessaria, ma diventa indispensabile a causa dell’anemia provocata dai continui prelievi di sangue a cui vengono sottoposti per monitorare lo stato della loro malattia.
O ancora pensiamo anche agli interventi ortopedici, alcuni interventi, come le fratture del femore, non si possono rimandare, devono essere effettuati subito e richiedono un buon supporto trasfusionale, anche se in questi casi la variabilità è molto ampia.

Il sangue dei donatori può essere utilizzato anche per produrre emocomponenti di nuova generazione. Cosa sono questi prodotti e quali sono le indicazioni terapeutiche?
Si, quando le donazioni raccolte non raggiungono il volume standard e, di conseguenza, non possono essere utilizzate per la preparazione di emocomponenti tradizionali, le utilizziamo per preparare emocomponenti per uso non trasfusionale che, se è vero che non sono salvavita come la trasfusione, hanno però la capacità di migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti trattati.
Questi prodotti possono essere di tipo autologo cioè preparati dal sangue prelevato allo stesso paziente al quale saranno somministrati oppure di tipo omologo cioè da donatore. Nel nostro laboratorio produciamo: il collirio da siero autologo o omologo, il gel piastrinico e il PRP (Plasma Ricco di Piastrine) per le infiltrazioni.
Il siero collirio è un preparato ottenuto dalla lavorazione del sangue intero donato, dal quale si ottiene il siero, (che è essenzialmente la parte liquida del sangue). Il siero collirio si usa per il trattamento della sindrome dell’occhio secco: un disturbo del film lacrimale in cui la superficie oculare tende quindi a non essere adeguatamente lubrificata e di conseguenza a provocare dolore e fastidio agli occhi, al punto da avere ripercussioni serie sulla qualità della vita dei pazienti perché non riescono più a lavorare o a tollerare la luce del sole. I fattori di crescita contenuti nel siero collirio hanno la capacità di togliere il dolore, l’infiammazione e favorire la vera e propria riepitelizzazione della cornea.

 
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Il gel piastrinico, invece è un preparato per uso topico che, grazie all’aggiunta di una sostanza biocompatibile alle piastrine, assume la consistenza di gel. Il gel piastrinico si usa efficacemente sulle piaghe da decubito, sulle piaghe occipitali che si formano nei neonati costretti sdraiati a letto, sul piede diabetico e sulle ulcere vaginali, rimarginando le ferite in tempi rapidi.
Inoltre, il gel piastrinico trova applicazione nel trattamento delle ulcere nei neonati; esse si formano a seguito di pressione dovuta alla posizione ed è un evento grave e può creare disagio ai neonati. Nei neonati, una delle sedi più colpite dall’ulcera da pressione è l’area occipitale.
Non solo, In ortopedia abbiamo avviato una sperimentazione clinica per testare l’utilizzo di un altro prodotto, il PRP (plasma ricco di piastrine), un concentrato di fattori di crescita piastrinici (2), per il trattamento delle artrosi lievi/moderate e della sofferenza cartilaginea a livello del ginocchio.
Come possiamo notare, in generale, l’elemento ricorrente in questi trattamenti sono le piastrine che sono molto ricche di fattori di crescita. I fattori di crescita promuovono la proliferazione cellulare e dei vasi sanguigni, stimolano il processo di rigenerazione e di guarigione dei tessuti lesi, e hanno proprietà anti-infiammatorie. Questo studio include pazienti a cui viene proposto sia il plasma ricco di piastrine ottenuto da una donazione di sangue, sia il plasma ricco di piastrine ottenuto dal sangue del cordone ombelicale quando non ha le caratteristiche per poter essere conservato per il trapianto di cellule staminali.

Per chiudere, c’è un messaggio che vorrebbe lanciare ai nostri donatori?
Ai donatori voglio dire grazie, un grazie a duplice voce. La prima voce è la mia, in quanto professionista e cittadina perché riconosco l’importanza di questo gesto come gesto di solidarietà ed elevato valore sociale: Il sangue donato è un bene comune e può servire a tutti. Il secondo grazie ai donatori invece mi sento di dirlo per conto dei pazienti riceventi a cui ogni giorno assicuro il sangue: so quanto sono grati ai donatori perché per loro quel sangue è vita!

Per saperne di più
(1) Cos’è la talassemia? https://www.policlinico.mi.it/news/2021-05-08/1636/il-policlinico-di-milano-a-fianco-dei-pazienti-affetti-da-talassemia-con-cure-e-ricerca
(2) Ma cosa sono il PRP e la Medicina Rigenerativa? https://www.policlinico.mi.it/news/2022-01-12/2599/ridare-vita-alle-articolazioni-con-la-medicina-rigenerativa-e-possibile-al-policlinico-di-milano-un-percorso-dedicato-al-ginocchio
 
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