Un libro fra scienza e fede. A colloquio con l’autore, il professor Giorgio Lambertenghi Deliliers
È passato un anno dall’incontro dedicato al trapianto di midollo che si è tenuto alla Statale di Milano a conclusione del ciclo “I grandi medici del Policlinico”. L’incontro è stato introdotto dal professor Giorgio Lambertenghi Deliliers che ha ricordato la figura del professor Elio Polli, direttore della Clinica Medica quando in Policlinico ebbe luogo il primo trapianto di midollo. Il nostro colloquio con il professor Lambertenghi prende spunto dal fatto che, in questo anno, il professore ha lavorato alla preparazione di un libro assai impegnativo che gli sta molto a cuore.
Prima di parlare di quest’ultima fatica, però, vorrei ricordare che il professor Lambertenghi, clinico medico e ricercatore del Policlinico (vedi c.v.); dal 1990 si è dedicato a sviluppare e far crescere il Centro Trapianti di Midollo di cui è stato, dal 2004 al 2010, direttore.
Rievochiamo brevemente con lui questa lunga e preziosa esperienza.
Quale è stata la maggior difficoltà incontrata nell’iniziare i trapianti di midollo?
Innanzitutto, le conoscenze scientifiche in questo campo erano assai limitate così come le esperienze disponibili riguardavano pochi centri al mondo. Ragione per cui il professor Polli ci mandò ‘ad imparare’ allo Sloan Kettering di New York, poi in Germania a Ulm e infine a Gerusalemme.
Un secondo problema era quello che non disponevamo degli emocomponenti del sangue (globuli rossi concentrati e concentrati piastrinici) che il Centro Trasfusionale del professor Sirchia cominciò a preparare grazie alla disponibilità dei donatori dell’Associazione Amici del Policlinico, creata da hoc all’inizio degli anni 70.
Dovemmo inoltre affrontare un altro grave inconveniente rappresentato dalla GvHD (malattia del trapianto verso l’ospite), una complicanza causata dall’aggressione all’organismo del ricevente da parte delle cellule trapiantate e per la quale non c’era una terapia.
Un’altra complicanza era rappresentata dalle molteplici infezioni che colpivano i pazienti trapiantati a causa dell’immunodepressione indotta dai farmaci per evitare il rigetto delle cellule trapiantate. Per risolvere questo problema si dovettero realizzare le camere sterili dove ricoverare i pazienti dopo il trapianto.
Veniamo al libro di cui è co-autore dal titolo “Curare la persona. Medicina, sanità, ricerca e bioetica nel pensiero di Carlo Maria Martini”.
Cardinale di Milano dal 1979 al 2002, apprezzato da credenti e non credenti per la sua apertura e immensa cultura, appassionato di medicina, Carlo Maria Martini ha affrontato spesso i temi più complessi e problematici della moderna medicina.
Credo sia stata un’impresa ardua quella di raccogliere e selezionare sapientemente passi importanti della ricchissima documentazione lasciata dal Cardinal Martini su argomenti delicati, complessi e assai distanti fra loro ma tutti affrontati nella logica di trovare il punto di incontro, spesso insospettabile, fra fede e scienza.
Professor Lambertenghi, come mai questo libro?
La presente pandemia da Sars-Cov-2 ha messo in evidenza alcune gravi carenze del Servizio Sanitario Nazionale costringendo tutti noi a riflettere su questi problemi e sul modo di porvi rimedio. Dal punto di vista organizzativo è risultata evidente la fragilità della medicina territoriale e i problemi strutturali della sanità, sottoposta da troppi anni a importanti tagli delle risorse, valutati intorno a 37 miliardi in 10 anni. Proprio in questo periodo ho riscoperto il valore del richiamo costante del cardinal Martini a dedicare risorse al servizio sanitario pubblico. E dato che il rapporto privilegiato e la vicinanza al cardinale, consolidata durante la mia presidenza nell’Associazione Medici Cattolici di Milano, mi consentono di disporre di una ricca documentazione del pensiero di Martini, ho deciso con altri studiosi e uomini di scienza di raccogliere in un libro la sua preziosa testimonianza su temi molto problematici e controversi, come i test genetici, le cellule staminali, il fine vita, la ricerca scientifica. Il filone della medicina e della sanità è stato uno degli aspetti culturali preferiti dal cardinale di Milano.
Questo libro vuole semplicemente sottolineare il ruolo che la testimonianza di Carlo Maria Martini ha avuto nel rimettere al centro le questioni di fondo che attengono alla vita umana, risvegliando nelle coscienze dei singoli e nell’esperienza pubblica, specie di quanti operano nell’ambito della cura e nel mondo della salute, una vera e propria rinascita morale.
La ricerca ha occupato sempre un posto di rilievo nel pensiero del cardinal Martini. Vuole parlarcene?
In più occasioni Martini ha ribadito il suo convincimento che “la ricerca faccia parte di quell’istinto intellettivo che spinge costantemente l’uomo a conoscere”.
Nel 2001, durante la Festa del Perdono, presso l’Ospedale Maggiore di Milano, confermò il suo pieno sostegno al compito della ricerca scientifica, considerata “parte integrante della medicina e fattore essenziale del suo progresso” ma non mancò di sottolineare come, per il suo rapido evolversi, comporta ed esige sempre una forte attenzione etica. Laddove la ricerca di laboratorio venisse, infatti, perseguita nell’univoca prospettiva dell’utile e del conveniente, finirebbe per coprire “un esercizio di arroganza intellettuale oppure una prevaricazione della persona stessa”.
Al centro delle sue riflessioni era sempre l’uomo malato, con i suoi bisogni. Da qui un richiamo forte al ruolo della professione medica e alla sua componente etica e civile
Secondo il pensiero di Martini nel rapporto medico-paziente “si concreta un umanesimo impegnato e reale, capace di contrapporsi all’inevitabile estendersi di una medicina strumentale, specialistica e pluridisciplinare dove il paziente si smarrisce e il medico perde di vista il suo malato che a quel punto diventa semplicemente un caso clinico.
Da qui il ruolo determinante della formazione “chiamata a promuovere in ogni operatore sanitario una più responsabile competenza relazionale ed una maggior qualificazione professionale, per fare dell’ospedale un autentico luogo di cura”.
Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale iniziare già nei primi anni del percorso universitario, inserendo nel curriculum didattico l’insegnamento dell’etica medica così da coltivare nelle nuove generazioni di medici “un livello di coscienza che sia adeguato al livello di conoscenza tecnico-teorica”. È questo un invito a intraprendere una vera e propria svolta culturale che spinga in particolare le nuove generazioni a interrogarsi più seriamente sul “significato della professione medica” e “sulle questioni di senso, che riguardano la vita, la morte il dolore, la malattia e i suoi bisogni, la salute e il benessere, la felicità e il bene”.
La rassegna dedicata al pensiero di Carlo Maria Martini si chiude con preziosi ricordi personali. L’incontro conviviale a Bormio, la Festa del Perdono all’Ospedale Maggiore (di cui era parroco), l’avanzare della malattia. Ma soprattutto l’ultimo commovente incontro nella residenza di Gallarate dove ha trascorso gli ultimi mesi della vita. Cosa ricorda di questo momento?
Il colloquio non si protrasse a lungo. Per certi versi fu rapido e breve, poiché il Cardinale provato dalla malattia ormai si stancava facilmente. Fu una breve chiacchierata fra amici su vari argomenti. Al termine, ricordo, ci congedò con la freschezza intatta del suo sorriso, ribadendo col suo sguardo paterno il consiglio di sempre: “Mi raccomando: pensate in modo più aperto”.
Così il professor Lambertenghi rievoca l’ultimo incontro con Carlo Maria Martini, un testimone unico del nostro tempo che più e meglio di altri ha affrontato le spinose questioni etiche e spirituali poste dalla medicina, e dal quale l’autore - cito le sue parole - ha “imparato a sognare una medicina a misura d’uomo”.